Utopie della provincia: nella rossiniana Lugo, piena Romagna ravennate, nasce un festival tutto votato alla musica barocca.
A esser più precisi, imperniato sull’opera barocca, come puntualizza il titolo della kermesse, Purtimiro, citazione dall’ultimo languido inebriante duetto della monteverdiana Incoronazione di Poppea. Giusto trentasett’anni dopo la prima del capolavoro del divin Claudio, nel teatro privato della famiglia romana dei Contini andava in scena la commedia in musica (si badi, non “per” musica) Gli equivoci nel sembiante dell’allora giovanissimo Alessandro Scarlatti. Tre atti di arcadici malintesi: due ninfe sorelle innamorate dello stesso pastore, che però ha un inatteso gemello pronto a mettersi di mezzo. Tre atti di recitativi ariette e ariosi, saldati l’uno all’altro a privilegiare la parola e l’azione, più che il canto florido dell’opera italiana ancora di là da venire. Insomma, siamo più vicini al teatro di prosa (saltano alla mente Terenzio, Plauto e la Commedia dell’arte, ma Goldoni e Marivaux sono dietro l’angolo) e servono cantanti (doppia coppia: due soprani e due tenori) assai flessibili.
La recita lughese gioca un bel poker: tanto incisiva, tagliente nel furore amoroso sa essere Alena Dantcheva, tanto la Lisetta di Monica Piccinini, in nerissimo brillante caschetto come l’Uma Thurman di Pulp Fiction, brilla di canto luminoso, fraseggio duttile, pronuncia a fior di labbro. Complementari anche i membri della gemellar coppia Raffaele Giordani/Valerio Contaldo, rispettivamente Eurillo e Armindo: se il primo è più a suo agio nell’intonazione elegiaca, il secondo s’esprime in canto proiettato, caldo e virile. Tutti si muovono nel white cube pensato dal regista Jacopo Spirei, fra arboscelli zen d’acceso blu Klein, dietro cui si ci nasconde per finta, si gioca a impazzire, sbucano secchi di pittura e caschi da moto.
Ben netti i rapporti fra i personaggi, didascalia di luci cangianti a definire gli affetti, scolpire i corpi e disegnare ombre. A pié del palco Rinaldo Alessandrini maestro al cembalo gesticola pacato, affonda la mano sulla tastiera, guida il sempre splendido Concerto Italiano in tre quarti scattanti e accenti ficcanti, lasciando cantabilità riguardosa al primo violino. Senza smancerie, ma con rara mobilità. Quel che serve a un’opera come questa.
Teatro non gremito, abbonda il pubblico forestiero: si respira l’aria dell’esperimento. E non era forse l’opera ai suoi albori un meraviglioso, utopico esperimento a cui il tempo ha dato ragione? Auguriamo medesima sorte a Purtimiro. Il sindaco melomane ha già dichiarato che l’edizione 2017 è in cantiere.
(foto di Cristiana Aureggi)