Appena due giorni dopo l’esecuzione della Passione secondo Giovanni, il 22 settembre per MITO SettembreMusica è stata la volta della Passione secondo Matteo, sorella minore d’età (pare che la prima rappresentazione risalga al 1727, mentre per Giovanni si parla del 1724), ma maggiore per quanto riguarda volume e consistenza.
La narrazione si sviluppa infatti a partire dall’ultima cena, evento che, nella più breve Passione oratoriale basata sul Vangelo di Giovanni, viene omesso. Se il cast, a partire dall’Akademie für Alte Musik Berlin, è pressoché il medesimo dello spettacolo andato in scena la sera del 20, uniche eccezioni il mezzosoprano Kristina Hammarström e il basso Andrè Schuen nel ruolo di Cristo, l’opera è invece di tutt’altro stampo. In questo lavoro infatti, Bach lascia grande spazio all’elemento teatrale: i recitativi sono numerosi e pregnanti e sottolineano a tinte forti la sofferenza profondamente umana di Cristo, lasciando solo intravedere da lontano un bagliore di resurrezione, quasi totalmente oscurato dal dolore della morte.
In quest’ottica per così dire “sentimentale”, un solo piccolo appunto viene da fare ai solisti che per il resto hanno dato prova di grande bravura: un briciolo di pathos in più, soprattutto in alcune arie di grande intensità espressiva, non sarebbe risultato eccessivo.
A Renè Jakobs va certamente il merito di aver condotto con semplicità e pulizia un’opera che semplice non è per nulla e che, per quanto contenga scorci di pura bellezza, non è di subitanea comprensione per un pubblico di non addetti ai lavori. Nonostante la sua godibilità non proprio immediata, il successo è stato grande e pieno e ha confermato l’interesse del pubblico torinese per la musica antica, soprattutto se eseguita con gli strumenti barocchi per i quali era stata scritta, che risulta ancora troppo poco diffusa nelle grandi sale da concerto della città.