Un colpo allo stomaco. Una partita a scacchi crudele. Uno scontro feroce che sin dall’inizio ha l’odore della morte.
Questo è “Quartett” di Luca Francesconi, l’opera presentata a La Scala in prima mondiale nel 2011 e ora ripresa in occasione di Milano Musica a lui dedicata. È un concentrato della storia “Le Relazioni Pericolose” di Choderlos de Laclos, nella versione di Heiner Muller. Un distillato di veleno, 500 pagine di romanzo addensate in 80 minuti di tensione e in due personaggi che ne interpretano quattro (Valmont, la Marquise de Merteuil, Cécile de Volanges e Madame de Tourvel) e che si scambiano ruolo e sessualità in un continuo rimando allusivo. La parola gronda odio. Il sesso è visto non come piacere ma come strumento di soggiogo, lotta di potere, sopraffazione. Un testo terribile che riflette sulla dinamica dei rapporti umani in una visione del mondo nichilista e senza speranza.
Il libretto, in inglese, è opera di Francesconi stesso. Un lavoro sofisticatissimo di scelta della singola parola che si spezza, si sfuma, si frantuma, diventa suono, diventa sibilo, diventa urlo, diventa schiaffo. Il connubio tra parola e musica è totale ma questo non deve far pensare a un lavoro di virtuosismo sonoro o autoriale. Musica e parola qui sono dramma, sono azione, sono moto dell’anima. Come raramente accade nel panorama operistico contemporanea, la musica non è illustrazione ma motore della scena, scansione del verbo, cuore che pulsa.
La partitura è una sintesi della produzione musicale di tutto il Novecento. La sindrome dodecafonica si stempera in improvvise melodie subito cancellate. Echi di Darmstadt si uniscono a ombre digitali. Il suono è raffinatissimo. La parola è a guida nella tragedia e quindi trattata con grande attenzione a renderla sempre udibile, chiara, sferzante. Tutto ciò è possibile grazie a interpreti straordinari come Allison Cook e Robin Adams, che accoppiano a una vocalità importante e seducente una capacità attoriale non comune per come l’abilità nel dominare la scena e nello scolpire la sillaba.
La regia di Àlex Ollé – La Fura dels Baus racchiude l’azione in una scatola claustrofobica sospesa a mezz’aria. Sono le nostre pareti domestiche, ma è anche il box che racchiude le nostre vite nelle convenzioni e nelle relazioni sociali. Sullo sfondo, proiezioni di nuvole, di città, di muri che si infrangono dettano il passo dell’azione e della partitura. È soprattutto l’attenzione ai gesti e alle sfumature a risultare determinante nel dipingere la dimensione del livore, l’abisso del dolore.
Orchestra e coro di grande precisione nella guida sicura e ammirevole di Maxime Pascal. Pubblico un po’ scarso nell’ultima recita, che ha tributato ai protagonisti e al compositore un trionfo degno di platee più numerose ma meno appassionate.