Il team Livermore stupisce ancora con il suo Don Pasquale. Davide Livermore, entrato finalmente, e con frequenza, nel novero dei registi scaligeri, ci regala uno spettacolo di grande intelligenza e musicalità.
Il regista identifica nella cinematografia dell’Italia degli anni 50 la chiave di lettura della vicenda. La commedia italiana, brillante ma anche amara, diventa codice estetico e interpretativo di un’opera buffa che non è “Teatro dell’Arte” ma riflessione sarcastica sull’animo e sul comportamento umano. Camillo Mastrocinque (che del Don Pasquale fece un film), Vittorio De Sica, Dino Risi, Federico Fellini, Tina Pica, Aldo Fabrizi, Mario Carotenuto, Walter Chiari, Giulietta Masina. Il sorpasso, Vacanze romane, Totò e la malafemmina, La cambiale, La strada. Cinecittà.
Tra saloni barocchi, nastri trasportatori, calcinculo, lambrette e spider Alfa Romeo che volano, Livermore e il suo geniale team ricreano l’amarcord di un’Italia che non c’è mai stata per ricreare gli archetipi umani che ci saranno sempre. Di un Don Pasquale praticamente perfetto bisogna dare credito alle due forze trainanti dello spettacolo, Chailly e la Feola.
Il Maestro riporta sul palcoscenico del teatro milanese un Donizetti tanto inusuale e frizzante per precisione e trasparenza. Un ritorno al testo riletto come se fosse la prima esecuzione. Il risultato è di freschezza travolgente e di toccante tenerezza. Nessuna sovrastruttura, nessun pretendere che l’opera sia niente di diverso da quello che è.
La Feola è il modello di quello che dovrebbe essere la cantante contemporanea. Infallibile nelle colorature senza sembrare una bambola, attrice fenomenale senza per questo sacrificare il canto, maliziosa interprete senza sembrare un’inutile civetta. Che sia su sospesa su un’auto, appesa su un seggiolino, trascinata da un tapis roulant la consapevolezza del canto e dell’interpretazione non viene mai meno.
Ambrogio Maestri dipinge un Don Pasquale che sembra anticipare Falstaff. È un uomo travolto dai propri appetiti che si ritrova in età adulta a comportarsi come un ragazzino. Un altro personaggio con cui sarà destinato negli anni a identificarsi. La voce importante di Maestri si adatta con facilità alla sillabazione veloce ma è nelle note dolenti e nell’irruenza che costruisce il personaggio. Un Don Pasquale diverso dal consueto basso buffo a cui siamo abituati e che proprio per questo conquista.
Il Malatesta di Mattia Olivieri è ottimo attore e ancor migliore cantante. Piace la voce, duttile e di bellissimo colore, piace la capacità di presentarsi subdolo macchinatore o preoccupato fratello senza soluzione di continuità. Applauditissimo l’Ernesto di René Barbera, preciso e puntuale a tutti gli appuntamenti del testo ma che affascina meno dei compagni d’avventura.
Orchestra strepitosa: sembra una Ferrari più che un’Alfa Romeo.