Una serata dedicata a un aspetto fondamentale della musica di Claude Debussy: la cosiddetta musica “pura”, destinata a elaborare e rileggere forme compositive e armoniche arcaiche e pre-classiche (come la scrittura armonica di tipo frigio presente nel primo movimento del Quartetto per archi in sol minore op. 10), o alla rievocazione di una forma contrappuntistica che rinvia a Rameau e Couperin.
Nell’estate 1915, dopo un periodo di forte depressione, Debussy riprende a lavorare con entusiasmo e alacrità: nonostante il clima di malessere, ha il tempo di dimenticare i rumori della guerra e di ritirarsi in un “angolino in riva al mare”, a Pourville, dove decide di comporre, oltre alle Études per pianoforte, un ciclo di sei sonate per diversi strumenti privo di riferimenti extramusicali. Usa la “forma antica” recuperando la tradizione francese preclassica per contrapporla alla retorica e aggressiva “magniloquenza delle sonate moderne” e agli epigoni del romanticismo wagneriano.
La Sonata per violoncello e pianoforte viene stesa di getto, insieme con quella per flauto, viola e arpa: in essa traspaiono la forma classica e la purezza cui auspicava il maestro. Concepita in tre movimenti, Prologue, Sérénade e, senza soluzione di continuità, un Finale, questa sonata è un esempio di verve e di comique-absolue: il primo movimento propone motivi vivaci e sempre cangianti. Il suo modello ideale è il “prologo-ouverture” di Les fêtes de Polymnie di Rameau. Dopo un’introduzione bachiana, è un languido tema sostenuto da accordi pianistici seguiti da episodi diversi e in contrasto fra loro, che vanno dal concitato al declamato e al rubato. Nel secondo movimento vi è il paradossale capovolgimento: la Serenade si apre frammentaria e nervosa, ai limiti dell’aforisma e della citazione. Sfoggia un gioco timbrico tra il pizzicato violocellistico e lo staccato pianistico, inframezzato da melodie spagnoleggianti e da una lontana melodia modale.
La sonata si conclude in modo discontinuo con il violoncello, che alterna accordi chitarristici e temi da habanera fino a un epilogo ironico, dalla cadenza estenuata in Largo e con decisi accordi picchettati.
La Sonata per flauto, viola e arpa fu scritta nell’ottobre 1915; dedicata ad Emma Debussy, vede come protagonista il flauto che introduce pateticamente il tema del primo movimento accompagnato dalle timbricità pastose della viola. Il suo andamento è rapsodico e a volte improvvisativo, con sbalzi di umore. Il brano gravita attorno alla tonalità di fa, resa ironica e bizzarra dalle entrate e uscite del flauto, quasi umanizzato nell’uso di Debussy; l’Interlude è quello cui si attribuisce la “spaventosa” malinconia resa da una melodia introversa e contorta, con un sospiroso slancio sincopato attorno al do conclusivo; è suddivisibile in tre tempi, grazioso e galante il primo, pointillé ed ottimistico il secondo, acquatico, vivace e dal tema discendente il terzo. Quest’ultimo sviluppa effetti cromatico-timbrici che rievocano sonorità stravinskjane e, prima della coda conclusiva, 3 battute rallentano il tutto proponendo un’enigmistica nona di la bemolle, il tema lontano ed originario della Pastorale ormai trasfigurato.
L’ultima composizione di Debussy, iniziata nel 1916, terminata nell’aprile del 1917 ed eseguita da lui e Galton Paulet il 5 maggio dello stesso anno alla Salle Gaveau, coincide anche con l’ultima apparizione pubblica del compositore, ormai malato. Dopo una tormentata e interrotta gestazione, Debussy ne rimane soddisfatto; vi sono l’ironia sottile di chi è ormai abbattuto in corpo e spirito, una certa instabilità competitiva tra la verve allegra e la commiserazione. Vi è l’esordio di un falso allegro (l’allegro vero è in realtà un trompe-l’oreille).
Il tema in sol minore stenta a mostrarsi; lo fa dopo, affannosamente, per cadere interrotto in fa diesis, quindi scivola in arpeggi malinconici chopiniani. L’Intermedie è un omaggio a Bach: la caratteristica di tale movimento sta nella litote musicale, l’accostamento della severità espressiva del compositore tedesco alla caustica verve debussiana. Debussy fa il verso ora al Musorgskij del Mercato di Limoges, ora allo Straviskij neoclassico dell’Edipo re.
Il Finale (“Tres anime”) è una giga scatenata dalla voglia di vivere di chi è prossimo alla morte; l’idea musicale sembra girare su se stessa, in terzine avvolgenti.
La storia del quartetto in Francia è discontinua, si va dal predominio delle forme classiche dei lavori di Haydn, Mozart e Beethoven fino agli ultimi anni dell’Ottocento, quando emergono (dal 1889) il Quatuor di Franck Quator di Franck che riscosse grande influenza, quelli di Faurè (1876,1885), quelli di d’Indy e Debussy.
Claude Debussy compose il Quatuor in sol minore op.10 fra l’estate del 1892 e il febbraio 1893: il dedicatario fu il celebre quartetto Ysaye di Bruxelles (capeggiato dalla brillante figura di Ysaye) e fu eseguito in prima assoluta il 29 dicembre 1893.
Storiograficamente e stilisticamente fa parte del periodo di marca simbolista (il Prelude o l’apres-midi) ed è l’unico a recare l’indice di opera; nato durante i periodi dei “mardis” mallarmiani e delle visite a casa Chausson di cui il compositore fu a lungo amico e collaboratore, il Quartetto risente di note influenze stilistiche franckiane in tutti i suoi quattro movimenti, quasi a conciliare Franck (maestro di Chaussou) con i quartetti del classicismo e il mondo erotico-onirico del Prelude.
I quattro movimenti sono “attraversati” dal ritorno di un tema principale scritto in modalità pigra in modo deciso e ben marcato, che però arriva a una trasformazione sia per la coloritura armonica che ritmica.
Non ottenne consensi immediati e al primo ascolto ci furono pareri sconcertati e contrari – tra cui quello dello stesso Chausson – al tipo di linguaggio musicale proposto da Debussy; solo nella seconda esecuzione del 1894 cominciarono i primi apprezzamenti dovuti al riconoscimento di influenze slave (Borodin nel primo Quartetto), alle sonorità tzigane presenti in Russia nel periodo di soggiorno (1880-1882), dal gamelan all’unità tematica mozartiana.
Programma
Claude Debussy
Sonata n. 1 in re minore per violoncello e pianoforte
Sonata n. 2 in fa maggiore per flauto, viola e arpa
Sonata n. 3 in sol minore per violino e pianoforte
Quartetto per archi in sol minore op. 10
Esecutori
Salvatore Accardo, violino
Laura Gorna, violino
Francesco Fiore, viola
Rocco Filippini, violoncello
Andrea Oliva, flauto
Laura Manzini, pianoforte
Elena Gorna, arpa