Gli artigiani orafi dicono che per riconoscere la bellezza di un gioiello bisogna girarlo e guardarne il retro.
Il concerto della Filarmonica della Scala, che segna la partenza dell’Orchestra per un lungo tour che la porterà in tutte le maggiori sale da concerto europee e concludersi con una doppietta al Musiverein di Vienna, è la ricerca del lato nascosto e meno visibile di due partiture simbolo del tardo romanticismo.
Riccardo Chailly ha confessato, in una recente intervista, il legame che lo lega alla Quarta di Ciajkovskij. È il brano con cui ha mosso i primi passi da direttore e il primo con cui ha affrontato i Berliner Philarmoniker. È un’interpretazione lontana dalla tradizione e dalla consuetudine. Se si cerca Mravinsky o Karajan, è meglio guardare da un’altra parte.
Chailly spegne tutti gli eccessi di pathos in una lettura lucida e affettuosa, in controluce. Il Direttore mette la sordina a tutti i temi principali e alle fanfare per far risaltare il discorso che si cela in orchestra tra tutti gli altri temi. È alla ricerca dell’autenticità della melodia e del senso profondo della sinfonia e lo fa per via analitica, cioè studiando il canto delle sezioni. Dove nella tradizione sono gli ottoni o gli archi a imporsi, Chailly ci racconta che dietro ciò che è evidente o persino prepotente c’è un mondo intero e che il significato del brano va ricercato lì. Nel secondo tempo, soprattutto, il brano cambia volto. Invece di essere travolti dallo struggente tema degli archi, è l’equilibrio intimo e delicato degli altri temi a venirci incontro e farci riflettere. Il controllo dei tempi, ferreo e misurato, razionale mai meccanico, è sempre molto attento nell’uso dei rubati o delle accelerazioni.
Anche con il Concerto per piano di Grieg, il Maestro va nella direzione di una discontinuità con la tradizione interpretativa per cercare una continuità storica musicale. La sua interpretazione ci fa capire che questo concerto è quasi una conseguenza di quelli di Mendelssohn e Chopin più che di quelli di Schumann e Brahms. È una prova il cui esito ci porterà a Ciaikovskij. Il Concerto riconquista con questa lettura un suo posto preciso nella storia della musica europea. In questo è fondamentale l’apporto di Benjamin Grosvenor, pianista superbo in perfetta sintonia con il direttore. Il suono brillante e luminoso è accompagnato da un fraseggio attentissimo, ora cameristico ora salottiero, ora delicato ora virtuoso, mai sfacciato o indulgente. Bellissimo e inconsueto il bis Erotik di Grieg da 24 pezzi lirici suonato con ancor maggior libertà e respiro.
Apertura della serata con una la Suite per Orchestra da Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič. scintillante e nervosa. In un continuo gioco di rimandi agli echi jazzistici che la portano da Gershwin a Rota, ritroviamo uno Šostakovič più autentico e vicino all’invenzione pura e originale che ha contraddistinto il suo primo periodo antecedente la condanna staliniana. Orchestra inappuntabile con una particolare menzione per legni e percussioni. Strepitosi.
PROGRAMMA
Dmitrij Dmitrievič Šostakovič
Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk
Suite dall’opera op. 29a durata 8 ‘
Edvar Grieg
Concerto per pianoforte e orchestra in la min. op.16 durata 30′
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Sinfonia n. 4 in fa min. op. 36 durata 44′
Riccardo Chailly - direttore
Benjamin Grosvenor – pianoforte